Chiara Lubich, ancora con noi. La sua eredità è quanto mai viva. « Video »

Da il 9 marzo 2009

06 Chiara Lubich Chiara Lubich, ancora con noi. La sua eredità è quanto mai viva. « Video »L’AVVENTURA DI CHIARA

 video: Chiara Lubich: tutto vince l’amore

 Nel volume di Franca Zambonini parla la donna che l’ha sostituita, Maria Emmaus Voce: «La sua eredità è quanto mai viva».

Chiara Lubich, fondatrice dell’Opera di Maria, più nota come Movimento dei focolari, è scomparsa il 14 marzo 2008, a 88 anni. La sua eredità è diffusa in 182 nazioni, conta 141.400 membri attivi, oltre due milioni di aderenti, 30 mila simpatizzanti di fedi diverse, e un gran numero di istituzioni presenti nel mondo.
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I numeri e le iniziative dicono molto sulla vitalità del Movimento. Ma il significato più importante della sua presenza nella Chiesa sta nel messaggio di una umanità senza confini, capace di superare le diversità, le appartenenze.
È una forza unita dall’amore scambievole che abbatte muri e costruisce ponti. Una vasta multinazionale, se la parola non disturba, della solidarietà, del dialogo, della riconciliazione tra i vicini e i lontani. Chiara ha avuto il duplice dono della visione e della pratica di governo. Ha detto monsignor Piero Coda, presidente dell’Associazione teologica italiana: «La spiritualità di Chiara si proietta su un orizzonte infinito, però con i piedi per terra. È stata profetica nel capire in anticipo come fosse efficace la presenza dei laici nella Chiesa e quanto fecondo il contributo delle donne».
Riusciranno i focolari a raccogliere un lascito così imponente, a conservare vivo lo spirito di unità che li ha animati fin dagli inizi? Saranno capaci di mandare avanti le intuizioni di Chiara, senza perderne la radicalità, e anzi, farle crescere tra le sfide del nostro tempo tumultuoso? A queste domande cerca di rispondere il libro di Franca Zambonini, Chiara Lubich. La sua eredità (Paoline Editoriale Libri, Milano). Con una serie di interviste a esponenti dell’Opera, una sintesi della sua storia tra le “croci e luci” che l’hanno accompagnata, e alcuni scritti inediti di Chiara Lubich dal singolare valore autobiografico e spirituale, il libro segue il cammino dei focolari dopo la scomparsa della fondatrice. Riportiamo dal primo capitolo una parte dell’intervista a Maria Emmaus Voce, la presidente del Movimento, eletta a luglio dell’anno scorso dall’Assemblea generale dei 496 delegati dai cinque continenti.
Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei focolari, morta a 88 anni,
il 14 marzo dell’anno scorso
L’eredità è pesante, ma Maria Emmaus Voce non sembra preoccupata: «Non ho paura, non sono sola a ricevere questa eredità, ma il Movimento che mi ha scelta per essere il punto di unione tra tutti. La responsabilità è condivisa».
L’ultima foto di Chiara e Maria Emmaus insieme è stata scattata in Svizzera e, con lo sguardo del poi, appare simbolica. Chiara è in macchina, Maria Emmaus si affaccia al finestrino, le mani si avvicinano per un saluto che oggi si può interpretare come un passaggio di consegne.
La nuova presidente è stata una delle principali collaboratrici di Chiara. È nata ad Ajello Calabro, il 16 luglio 1937; laureata in Giurisprudenza all’Università di Roma, è stata la prima donna avvocato del tribunale di Cosenza; ha conosciuto il Movimento nel 1959, è entrata in focolare nel 1964; su incarico di Chiara, dal ’78 all’88 è vissuta in Turchia, dove ha lavorato sul dialogo ecumenico e interreligioso con il patriarca ortodosso, con i capi di altre Chiese cristiane e con il mondo musulmano; negli ultimi anni ha collaborato, con la sua esperienza giuridica, all’aggiornamento degli Statuti generali dell’Opera.
Primogenita dei sette figli di Francesco e Clara Voce, ha sentito fin da piccola la passione per lo studio: «Lo studio mi ha sempre affascinata, ma ho dovuto lottare contro il parere di mio padre. Secondo lui, a una donna bastavano le scuole elementari per imparare a leggere, scrivere e fare i conti della spesa».
Padre padrone? «No, padre con la mentalità dell’epoca, possessivo per amore e per protezione. Al nostro paesello c’erano solo le elementari, lo disturbava che io dovessi andare lontano a frequentare le medie. Ma io ero ferma, non per ribellione, ma per desiderio di libertà, e lui si è dovuto adattare, anche se credo che abbia considerato la mia decisione una specie di tradimento del suo amore. Però ho aperto la strada ai miei fratelli, che poi hanno studiato tutti; insomma, ho fatto da apripista. Papà era il medico del paese, è andato in guerra ed è stato per più di un anno prigioniero in Germania. Lo vidi tornare mezzo distrutto, allora ero solo una bambina di terza elementare, ma ne ebbi un’impressione tremenda. Penso risalga a quel tempo il mio amore per la pace e la concordia fra gli uomini, contro l’odio e le divisioni che possono scatenare i conflitti».
La svolta
Accadde una mattina, durante una visita alla cappella dell’Università: «C’era un gruppo di ragazzi che ascoltavano la Messa. Sentivo che qualcosa li legava fortemente, ma non capivo cos’era. Li vedevo sempre con grande gioia, mi sembrava che mi illuminassero la giornata. Ho proposto a una mia collega di corso di venire anche lei. Ma mi ha messo in guardia: “Sta attenta, perché sono una specie di setta, non si sa bene cosa siano, il Papa non li approva”. Era il periodo in cui la Chiesa stava studiando il Movimento e non c’era ancora un’approvazione. Io non sapevo niente di tutto questo, ma le ho subito risposto: “So che nel Vangelo è scritto che l’albero si riconosce dai frutti. Io ho visto i frutti e non si può dire che l’albero sia cattivo”».
«Volevo saperne di più, ho avuto l’indirizzo di un focolare. Ci sono andata, una ragazza mi ha accolta raccontandomi la storia dagli inizi. Le ho chiesto cosa dovevo fare per essere una di loro. Pagare una quota associativa, avere una tessera? La risposta è stata: “La nostra è una vita, non un’organizzazione. Se tu vivi in questo modo, sei una di noi”. Così ho fatto. Seguire Gesù in questa nuova avventura evangelica è diventato il mio ideale. È stata la svolta della mia vita».
Maria prende la laurea e diventa la prima donna avvocato del foro di Cosenza. La accolgono con molta curiosità e un po’ di diffidenza, le danno una toga troppo lunga per la sua statura e lei ci inciampa dentro, però va avanti, fino a conquistarsi la fiducia di tutti.
«Mi si apriva una buona carriera. Ma improvvisa e forte è stata la chiamata di Dio. Dopo quattro anni di lavoro in tribunale, ho lasciato tutto in una settimana, decisa a seguire la stessa vocazione di Chiara. Nel 1964, sono andata alla scuola di formazione dei focolari a Grottaferrata. Un giorno Chiara venne a parlarci… Qualche tempo prima era stata in Terra Santa e ci parlò anche della grande emozione che aveva provato visitando Emmaus, il villaggio vicino a Gerusalemme dove Gesù era apparso accanto ai due discepoli scoraggiati, che lo riconobbero solo più tardi, allo spezzare del pane… Chiara ci descrisse questa presenza di Gesù: “È forza che sostiene anche quando c’è burrasca in noi e attorno a noi”. Le ho subito scritto che la mia vita non avrebbe avuto altro significato, se non quello di accogliere la presenza di Gesù tra noi. È così che, a sorpresa, Chiara mi ha dato un nome nuovo: Emmaus».
Il futuro
Chiedo alla presidente quali, tra le tante iniziative della fondatrice, si sono concluse con la sua scomparsa, tanto da apparire datate; e quali avranno sviluppi più adatti al mondo che cambia.
«Chiara, parlando ai giovani che le avevano fatto una domanda sul futuro dei focolari, aveva spiegato che nei movimenti, che sono opera di Dio, c’è il primo periodo, quando viene in evidenza il carisma e si definisce bene la finalità. Poi, ed è il tempo che viviamo ora, c’è il secondo periodo, il tempo della crescita, della maturità. E aggiungeva una raccomandazione: “State tranquilli, avrete tantissimo da fare. Ma restando nella fedeltà alla fondatrice, perché lì c’è il Dna di tutta la sua Opera, anche tra cento, mille anni… Di certo non potrà cambiare la finalità del Movimento”».
«Finché l’ultimo uomo della Terra non sarà veramente considerato fratello da tutti, il carisma di Chiara avrà sempre qualcosa da dire. Mi sembra che oggi abbia da dire soprattutto apertura nell’accogliere l’altro, chiunque esso sia; amare senza fermarsi ai confini del proprio Paese, della religione, dell’età. È una cultura nuova, è accoglienza reciproca vissuta fino in fondo. Per questa accoglienza siamo disposti anche a perdere qualcosa di noi, per ritrovarci dentro una ricchezza più grande. Senza proselitismi e senza rinunciare al Dna dell’Opera. Il rischio c’è sempre, fa parte della libertà dell’uomo. Ma, come ci ripeteva Chiara, l’Opera è come un tessuto al telaio: anche se un filo cede, tutti gli altri tengono. Abbiamo una assoluta speranza in questa rete d’amore».
Franca Zambonini

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«Chiara Lubich è sempre con noi»
Un anno fa moriva la fondatrice dei Focolari. Parla Maria Voce
 
«Chiara è sempre con noi». E davvero non suona retorico il modo in cui Maria Voce, chiamata a succedere alla fondatrice dei Focolari, ricorda Chiara Lubich, a un anno dalla morte. «Niente ha il sapore del lutto», dice, raccontando come in tutto il mondo, a ogni livello, ci si prepari a ricordare questo anniversario: «Si avverte un clima di festa».

Lei è stata tra le più strette collaboratrici di Chiara Lubich in un lungo arco di tempo. Come la ricorda?
Non posso non ricordare l’ultimo momento, quando sono andata a salutarla, il 13 marzo a sera già avanzata. Le ho sussurrato: «Chiara, noi veniamo con te». Sentivo che era una realtà, che non erano parole. E da quel momento questa comunione tra cielo e terra continua. La sento vivissima. A lei chiedo ogni giorno quel suo amore senza misura. Un amore attivo e fecondo che si faceva carico dei problemi, delle attese di ogni persona che incontrava. E nasceva sempre qualcosa di nuovo. Come quell’incontro con una signora divorziata che le dice: «Chiara, non fai niente per la nostra situazione?» . Ne parla con i responsabili di Famiglie Nuove e si apre un nuovo campo per i separati, per i divorziati. È capitato l’ultimo anno della sua vita. Ecco come ricordo Chiara: animata dal testamento di Gesù: «Tutti siano uno». Con un amore che abbracciava il mondo, cominciando dai più vicini. Ha sempre vissuto così. È così che ci ha insegnato ad allargare il cuore, a sfondare le barriere, ad andare incontro a chiunque con lo stesso amore, senza preconcetti.

Come è stato questo primo anno senza Chiara?
Dopo quel che ho detto, capirà che a me, a noi, suonano quasi strane le espressioni: «senza Chiara» o «dopo Chiara». E non è un’esperienza solo personale, ma collettiva. Quanto Chiara ci ha detto in tutti questi anni, ci risuona adesso con una profondità senza precedenti e con un imperativo che ci chiama a vivere con sempre nuova radicalità. C’è una freschezza, una vitalità, un più maturo senso di responsabilità, Chiara continua a portare avanti la sua Opera secondo il disegno che Dio le ha fatto scoprire passo dopo passo qui in terra e che ora, dal cielo, ci aiuta ad attuare. Ci stiamo preparan¬do al primo anniversario della conclusione del suo viaggio terreno. Da Cuba all’Iraq, dal Pakistan al Congo, dagli Stati Uniti all’India. Centinaia le iniziative nei cinque continenti per approfondire e continuare a vivere la sua eredità: iniziative liturgiche, presiedute da vescovi e cardinali, o culturali, a sfondo politico dove a prendere l’iniziativa sono i Parlamenti come in Brasile e qui in Italia, o personalità di primo piano in campo ecumenico, come il patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli.

La morte del fondatore è sempre un passaggio cruciale, sicuramente difficile. Chiara Lubich a¬veva in qualche modo preparato questo momento, ma quali sono stati i problemi maggiori da affrontare?
Sì, Chiara aveva preparato questo momento da lungo tempo. Ne abbiamo preso coscienza quando abbiamo raccolto quanto negli anni aveva detto guardando al futuro, a quando lei non sarebbe stata più su questa terra. Ma sono certa che Chiara ha preparato questo passaggio cruciale innanzitutto pagando di persona. Se il chicco di grano caduto in terra non muore, non può portare frutto. È legge del Vangelo. Poche parole, scritte a fatica, ci hanno fatto intravedere qualcosa di quell’abisso di buio che ha sperimentato nell’ultimo tratto della sua vita. Lo paragonava «al sole sceso all’orizzonte e tramontato per sempre». Chiara era configurata a chi aveva amato tutta la vita: Gesù che in croce giunge a gridare: «Dio mio perché mi hai abbandonato?». Quante volte ci aveva parlato di quel mistero d’amore e di dolore. Vi vedeva raffigurate «le doglie di un parto divino di noi tutti a figli di Dio». Ci indicava nell’amore esclusivo a Gesù abbandonato che vedeva nei mille gridi dei traumi e spaccature e conflitti del mondo, la chiamata ad una maternità capace di rigenerare e ricomporre in unità l’umanità. Si spiegano solo così la vitalità del Movimento proprio in questo momento cruciale, e i frutti copiosi, ma anche l’inaspettata eco della stampa mondiale, le affermazioni che giungono da più parti, a cominciare dalla voce di un monaco buddista davanti al suo feretro: «Chiara è anche nostra».

Dalla guida “carismatica” alla guida “condivisa”, come è cambiato il dinamismo dei focolari?
«Se dovessi lasciare in testamento un’eredità – aveva detto Chiara alla precedente assemblea generale del 2002 – lascerei a tutti: Gesù in mezzo a noi, frutto di questo carisma mariano». Ci ricordava che il carisma risiede nel «due o più» e ci chiedeva, prima di ogni altra cosa, di vivere l’amore scambievole con la misura del dare la vita per «generare » la Sua presenza, «perché ci guidi». E questo significa capacità di ascolto, di morire al proprio io, di spostare la propria idea, di entrare «nell’altro». Questo dinamismo, da sempre è il motore e il segreto dell’espansione della rivoluzione evangelica iniziata a Trento. È stato fissato da Chiara per sem¬pre come la norma delle norme nella pagina introduttiva agli Statuti. Ma ora questo dinamismo si è intensificato. Sperimentiamo nuova luce e forza per portare avanti il movimento in questo «secondo periodo» che Chiara definiva come «tempo di crescita, di maturità », «tempo in cui tutto si svilupperà in estensione, tutto si moltiplicherà, e andrà anche in profondità».
Salvatore Mazza
 

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