Dal Congo Sr. Delia Guadagnini augura a tutti Buon Natale

Da il 23 dicembre 2014
natale dal congo suor delia

Carissimi Amici di Predazzoblog !
A tutti voi, la festa del Natale, nella sua semplice e incantevole bellezza, nel suo annuncio di verità evangelica e nella sua manifestazione inattesa di bontà divina, rinnovi la speranza e confermi l’incontro con Gesù, che salva il mondo.
Grazie infinite a ciascuno per il ricordo, la preghiera, la condivisione della nostra vita quotidiana e l’aiuto concreto.
Corriamo con gioia a Betlemme, contempliamo il mistero e da lì ripartiamo per annunciare a tutti la tenerezza di Dio che si fa uno di noi e cammina con noi, sempre e ovunque.
Auguri di tutto cuore in questo Natale e per il nuovo anno 2015 a voi e alle vostre famiglie! Vi abbraccio con affetto e gratitudine!

Sr. Delia Guadagnini
Missionaria Saveriana
Uvira
Repubblica Democratica del Congo

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Vi mando anche un articolo, anche se è un po’ lunghetto..

La nostra Direttrice generale ha parlato a Roma alla preghiera interconfessionale, in san Marco Evangelista, in Piazza Venezia, il 6 dicembre, invitata a ricordare le nostre tre sorelle uccise in Burundi.

Perdono e misericordia nella vita personale, di relazione e di famiglia 

Preghiera interconfessionale in S. Marco Evangelista, Piazza Venezia. 6.12.2014, h. 20.30

 

Di fronte al fatto

Nei settant’anni di vita della nostra Famiglia missionaria, non ci siamo mai trovate a perdere sorelle in circostanze tragiche, come è successo per Olga, Lucia e Bernardetta nei giorni 7 e 8 settembre scorsi a Kamenge, alla periferia di Bujumbura, in Burundi: sgozzate e colpite con una pietra le prime due, decapitata la seconda.

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Più che la rabbia, all’inizio è l’incredulità, lo stupore. Che poi ha spento ogni parola quando nella notte dell’8 settembre ci è arrivato la seconda notizia: anche Bernardetta era stata uccisa! Le altre sorelle presenti hanno condiviso il rischio e portano in sé indelebile ciò che i loro occhi hanno visto. Tutte noi comunque portiamo la scena nel cuore, ci domandiamo: quanto avranno sofferto, lottato, gridato, capito? La mente poi si deve ritrarre da quelle scene perché rischia di perdersi in pensieri di tenebra.

Lo stupore è anche dovuto al fatto che il Burundi dal 2005 vive una relativa calma sociale e politica; al fatto che Olga, Lucia e Bernardetta – tra i 75 e gli 83 anni – vivevano una presenza missionaria non esposta, semplice, di prossimità: incontrando la gente in casa e nei quartieri, rendendo dei servizi in parrocchia, curando qualche ammalato, aiutando qualche povero. Non erano più i tempi in cui coordinavano dei servizi: per quasi trent’anni, nella Repubblica Democratica del Congo, Olga si era occupata della pastorale e della catechesi, Lucia era stata infermiera ed ostetrica, Bernardetta animatrice sociale soprattutto nel campo femminile e dell’alfabetizzazione. Non erano più le situazioni pericolose che esse avevano condiviso con la gente nei tempi delle guerre in Congo. Perché ucciderle? Perché così?

Un abbraccio planetario

Poi è venuto il conforto della partecipazione corale, un abbraccio così stretto e così vasto che ci ha lasciate ancora una volta senza parole. Ci siamo sentite abbracciate dal mondo. Cominciando dal Burundi, dove la gente ha pianto con le sorelle, ha anche espresso la sua rabbia, fino a voler punire lei stessa l’uomo che era stato arrestato e che ad oggi rimane l’unico imputato. L’eco crescente nella popolazione del Congo, dove le sorelle hanno lavorato, la partecipazione ovunque le nostre comunità si trovino nel mondo. Il Papa, le Autorità civili, i giornalisti, e tante, tante persone. La nostra Casa madre a Parma era nei primi due giorni dopo il fatto un andirivieni di giornalisti, di operatori televisivi e di persone amiche che venivano a dire il loro dolore. Ci hanno fatto capire quanto è importante la prossimità con chi è nel dolore, anche quando mancano le parole e si ha l’impressione che non si può dare alcun aiuto. Poi le chiamate per tanti incontri, articoli… Quando bisogna esprimersi, oltre il racconto dei fatti si è spinti a comunicare le prime reazioni, le prime sintesi, i primi tentativi di trovare un significato.

Ci siamo incontrate fra noi, nella grande comunità di Casa madre, per comunicarci il modo in cui vivevamo questo fatto. Poi, con Ines, la direttrice generale che mi ha preceduto, siamo andate in ottobre in Burundi e in Congo, per due, tre settimane. Abbiamo incontrato tante persone, autorità e popolazione; in particolare ci siamo messe in ascolto delle sorelle che devono ora elaborare dentro di sé quanto hanno vissuto.

Quando l’amarezza vuol dominare

Abbiamo sperimentato quanto è complesso il processo del perdono perché investa davvero tutta la persona. C’è un’umanità con cui fare i conti. Ci sono persone che avendo partecipato direttamente agli eventi portano dentro di sé, non solo, come ho detto, le scene viste, la paura vissuta, ma anche dei sensi di colpa: avessimo fatto diversamente… La follia della violenza va oltre la previsione ordinaria.

Dal cuore umano salgono sentimenti di rabbia: perché? In che cosa avevano dato fastidio? Dopo tutta una vita dedicata all’Africa… Appare la tentazione di associare la persona al gruppo e di sentire avversione per tutto il suo gruppo di appartenenza. Vuol farsi posto un’amarezza che spegne ogni tenerezza. Una voce s’insinua e spinge ad andarsene, perché tanto le cose non cambiano… Una voce dice di aumentare il sospetto e la soglia di protezione. Che tu voglia o no, ti svegli di notte con quelle immagini e speri l’alba per ritrovare delle voci che popolino quei silenzi terrificanti, delle azioni che autino ad accantonare i pensieri.

Pensi anche alla fatica di far quadrare i numeri sempre più scarsi con il desiderio di continuare le presenze missionarie, di realizzarne delle nuove. Tre in meno significa che ad oggi le saveriane in Congo sono quindici, un tempo erano venticinque. I sogni che comunque osavamo fare di nuove aperture sembrano stroncati. E poi ci mancano loro, precisamente loro, Bernardetta, Olga e Lucia, con la loro unicità, le relazioni decennali vissute, con i difetti e limiti e i valori portati insieme.

Tutto questo accade. Tutto questo non si liquida in un momento. Tutto questo sembra dentro a volte più forte del corale abbraccio di popolazioni che condividono il dolore. Tutto questo sembra a volte più forte delle preghiere, delle celebrazioni, delle verità che pure crediamo e neppure oggi rinneghiamo. L’umano.

Al contempo, sale un senso di pietà per chi ha compiuto il gesto, per quelle tenebre che possono aver generato un simile progetto, una tale ferocia. E il pensiero che ora questa persona – queste persone? – hanno tre persone che intercedono per loro con forza potente per vincerne le tenebre.

Cercando verità e giustizia

C’è un percorso interiore da fare e anche una pazienza da avere, soprattutto con noi stesse. Perdonare è una grazia, che forse può essere improvvisa e immediatamente trasformante, ma non è meno grazia quando a poco a poco essa invade la nostra vita, guarendola progressivamente, come le dolci acque si spandono a poco a poco sulla terra assetata. Come raccontare il perdono al nostro spirito ferito? Provo a dire alcuni passi e riflessioni fatte.

Vogliamo sapere chi ha ucciso e perché. Lo chiedono il popolo e la chiesa burundesi, le famiglie e le comunità d’origine delle sorelle, noi tutte. L’impunità è il fertile terreno che ha generato storie come queste a migliaia nei Paesi dei Grandi Laghi. Bisogna far tutto il possibile per sapere, per ricostruire, per scoprire non solo la mano esecutrice, ma anche i possibili mandanti. Troppo fragile è apparsa fin dall’inizio la confessione dell’unico imputato, una persona psicologicamente fragile, troppe domande restano ancora aperte. Questo percorso di ricerca è in atto e ci sembra doveroso, anche nei confronti delle nostre tre Sorelle. Senza mezzi straordinari, per essere in morte come in vita dentro alle condizioni ordinarie del popolo. Eppure, non è la chiarezza sui fatti che ci darà la pace. Ci è apparso da subito e sempre più chiaro un altro percorso, non alternativo ma immediatamente disponibile e capace di farci vivere questo evento positivamente. Abbiamo fatto alcune considerazioni.

Impresa non riuscita

1. L’assassino ha voluto far tacere Olga, Bernardetta, Lucia: oggi esse parlano più che mai. Le nostre tre sorelle non facevano discorsi, al più scrivevano sul giornalino del loro paese o della loro diocesi. Da tre mesi a questa parte parlano tantissimo e le loro parole risuonano ora in modo nuovo.

2. L’assassino ha voluto interrompere la loro vita: in realtà l’ha portata a compimento. Certo, la casa delle sorelle adesso è chiusa, nessuno può trovare il loro sorriso, la loro accoglienza, il loro soccorso. Eppure, l’impegno missionario di Olga, Lucia e Bernardetta non è stato interrotto, guastato, distrutto, L’assassino ha messo l’ultima parola a una frase che le tre sorelle avevano scritto con tutta la loro vita: donare la vita a Cristo e ai fratelli. È il culmine, il sangue versato, qualcosa che, se umanamente è frutto del male che alberga nel cuore dell’essere umano, dall’altra parte è l’opportunità di firmare col sangue le cose credute, di dire l’amore “fino alla fine” (Gv 13,1b). È la possibilità di essere assimilati alla morte di Gesù. Ha scritto mons Christophe Munzihirwa, il vescovo martire di Bukavu (RD Congo): “Morire è… un atto che si prepara durante tutta l’esistenza che lo precede. E il silenzio finale è una parola di grande ricchezza per colui che sa ascoltare dall’interno”.

3. L’assassino ha creduto di rubare delle vite, in realtà non c’era più nulla da rubare. Chi crede in Gesù, chi frequenta la sua mensa partecipa del mistero di Colui che prevenne i suoi uccisori dicendo: “Prendete e mangiate… questo è il mio corpo che è per voi; … questo è il mio sangue, versato per voi”. “Nessuno mi toglie la vita: io la do da me stesso” (Gv 10,18a). Le sorelle, la vita l’avevano già data, anche per il loro uccisore. Egli voleva fare la più grande delle rapine, ha trovato un dono.

4. Questo evento poteva distruggerci, ci ha dato un nuovo coraggio. Siamo poche, e constatiamo in questi anni una decrescita: con la loro morte eravamo in 226, un’altra sorella è morta in questi giorni, la nostra età media aumenta… La morte delle nostre tre sorelle è avvenuta appena al termine del nostro IX Capitolo generale, dove, come per un miracolo dello Spirito, avevamo ricentrato l’obiettivo sulla missione, da vivere con un più di incarnazione, di condivisione, di comunione. Questo evento ci ha dato la somma sintesi di quello che siamo andate meditando, ci ha fatto cogliere la serietà della chiamata che può comportare un tale esito. Ci ha mostrato che cosa è essenziale. Ci ha fatto pensare: cade la prima linea, avanti noi. Con gioia in questi mesi abbiamo accompagnato la prima partenza di alcune sorelle giovani per la missione in Messico, Thailandia e Repubblica Democratica del Congo.

Dolore come opportunità

A noi pare che il perdono nasca dallo scoprire che il male che sembra devastare le nostre vite in realtà non può nulla, perché “la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3b). Anzi, il male che s’accanisce diventa opportunità di dire l’amore fino alla fine. Gesù ha avuto “bisogno” di Giuda e di tutta l’orda dei suoi nemici per amare fino al perdono estremo.

Ogni volta che sul nostro percorso ci capita qualcosa da perdonare è un invito ad allargare gli spazi della tenda del nostro amore. Perché se nessuno mai ci offende, quando mai vivremo la vetta del Vangelo, il perdono dei nemici? Di perdono in perdono, lo Spirito Santo imprime in noi l’immagine del Figlio di Dio. E tutto questo è grazia.

In un popolo che soffre e spera

In ogni cosa è importante avere il senso delle proporzioni. E tale senso ci viene da uno sguardo sul mondo. Per anni noi missionarie Saveriane abbiamo affiancato dei popoli in guerra, abbiamo visto moltiplicarsi le croci di legno sulla terra costretta a bere il sangue di tanta gente innocente. Abbiamo condiviso dei rischi. Oggi ci è stato dato di condividere anche la sorte estrema. Di capire di più l’angoscia di chi è colpito, lo sgomento di chi resta, il desiderio di giustizia. Il sangue di Bernardetta, Lucia e Olga ci ha sposate più profondamente con i popoli dell’Africa centrale.

Quando piangono, ora conosciamo meglio il loro pianto, quando s’aggirano smarriti fra ciò che resta dei loro poveri villaggi, ora sappiamo meglio che cosa provano. Che cosa prova la gente della Nigeria, del Medio Oriente, dell’Iraq, dell’Afganistan, di ogni luogo ove la violenza s’accanisce. Ci sentiamo provocate a fare una scelta radicale del mondo alternativo che papa Francesco ha riassunto nel termine “tenerezza”.

Dalla gente impariamo anche il coraggio di andare avanti. A fine 2000, Bernardetta scriveva:

Quando accadono episodi di violenza, per alcuni giorni tutto si ferma. Ma poi ci si chiede: ed ora, che facciamo? Così la vita riprende. Le donne, anziché andare al mercato saccheggiato, vanno a vendere i prodotti più lontano, portando enormi pesi sulla testa, per procurare alla famiglia almeno un pasto al giorno.

Questo percorso ci è comune come Famiglia missionaria e insieme personale. Ciascuna sorella, particolarmente quante vivono in Congo – il ritorno in Burundi per ora non ci è possibile, essendo rimasta una sola sorella di quella comunità – vive il suo cammino interiore, le sue fatiche, la sua preghiera, la sua conversione a un amore sempre più grande, che riaccenda il calore interiore della tenerezza per scaldare un mondo spesso intirizzito dal freddo. Ci affidiamo anche alla vostra preghiera, perché non perdiamo questa opportunità di abbracciare il mondo con un amore più grande.

Giordana Bertacchini

Missionaria di Maria – Saveriana

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