Mangio o non mangio? Due serate sui disturbi alimentari

Da il 16 novembre 2016
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Il punto d’ascolto disturbi del comportamento alimentare delle valli di Fiemme e Fassa, con il patrocinio del Comune di Predazzo organizza una serata informativa relativa alle dinamiche legate ai disturbi del comportamento alimentare tenuta dallo psicoterapeuta dottor Francesco Sbardellati.

I disturbi del comportamento alimentare purtroppo coinvolgono sempre più persone e l’età d’incidenza si abbassa, fare prevenzione tramite l’informazione e la sensibilizzazione è fondamentale per la cura e la presa in carico di tali disturbi.

Siete tutti invitati a partecipare, naturalmente la presenza è libera e gradita.

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SPORTELLO PER I DISTURBI ALIMENTARI A CAVALESE

Disturbi alimentari: la famiglia è la miglior medicina

È il messaggio lanciato dall’Istituto Superiore di Sanità in un convegno organizzato per fare il punto sul ruolo dei genitori nelle dipendenze patologiche legate al cibo. Che colpiscono sempre più bambine a partire dai nove anni

Da imputata a risorsa. Così è cambiato il ruolo della famiglia nella gestione dei disordini alimentari. Se un tempo infatti era additato come causa scatenante di anoressia e bulimia e veniva estromesso dal percorso riabilitativo, oggi invece è proprio nell’alleanza con il nucleo familiare che si gioca la partita contro l’ossessione per il cibo che, nella forma del rifiuto o delle grandi abbuffate, risucchia pian piano la vita in una spirale di sofferenza. Perché uniti si può vincere la battaglia.

Questo è il messaggio chiave che Laura Dalla Ragione, direttrice della USL Umbria 1 per i disturbi del comportamento alimentare in età pediatrica e dell’età evolutiva di Todi, e Mariella Falsini, presidente di Consult@NOI, hanno lanciato il 6 ottobre 2016 all’Istituto Superiore di Sanità durante un convegno organizzato per fare il punto sul ruolo della famiglia nelle dipendenze patologiche.

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«Quando parliamo dei disturbi del comportamento alimentare (Dca) parliamo di patologie molto gravi, che imprigionano in comportamenti ossessivi prevalentemente le giovanissime: una ragazza su dieci tra i 12 e i 25 anni. Stanno diventando però sempre più frequenti i casi di esordio della malattia ancora più precoce, tra bambine di nove-dieci anni, e sempre più numerosi i casi tra i ragazzi» commenta Dalla Ragione. «Anoressia, bulimia, binge eating disorder sono malattie devastanti che alla fine logorano tutti, mamma, papà, fratelli, sorelle, tra senso di colpa e di impotenza» aggiunge Falsini, presidente dell’associazione nazionale di familiari di persone con disturbi alimentari. Perché da un lato non si sa bene come fronteggiare la malattia, dall’altro ci si chiede inevitabilmente: «cosa ho sbagliato».

NON SENTIRSI IN COLPA
«Ma non lasciarsi travolgere dal senso di colpa è fondamentale, per sostenere al meglio il proprio figlio o la propria figlia nel percorso terapeutico» raccomanda Dalla Ragione. «Eppure fino a poco tempo fa noi genitori siamo stati additati quali causa predisponente e perpetuante della malattia e questo ha aggiunto dolore al dolore» racconta Falsini.
«Oggi invece è ormai assodato che i Dca sono malattie multifattoriali in cui giocano cioè un ruolo scatenante diversi fattori: familiari, psicologici, genetici. E che per far risalire la china al giovane paziente, il coinvolgimento della famiglia è fondamentale: perché l’alleanza tra familiari e terapeuti facilita il processo di guarigione».

NON MINIMIZZARE IL PROBLEMA
Anoressia, bulimia, disturbo da abbuffate compulsive sono malattie gravi e non un semplice disagio adolescenziale. È importante dunque non minimizzare il problema e non illudersi che con un po’ di volontà si possa tornare a mangiare normalmente. Insomma, non servono a nulla, se non a peggiorare la situazione, rimproveri, giudizi e punizioni per spingere il proprio figlio o la propria figlia a mangiare quello che c’è a tavola. È importante, invece, intraprendere un percorso terapeutico, tutti insieme, perché queste malattie corrodono l’anima e il corpo del malato ma attaccano profondamente anche chi gli sta attorno.

NON RIMANDARE LA TERAPIA
La tempestività delle cure è fondamentale e più tempestiva è la diagnosi, più tempestiva è la guarigione. Infatti, «se il disturbo è intercettato entro il primo anno di malattia, la probabilità di guarigione totale è molto alta» spiega la psichiatra Dalla Ragione. «Altrimenti, se si inizia il percorso terapeutico dopo anni ormai che l’anoressia o altri DCA hanno monopolizzato la vita del paziente, la guarigione è più lenta e non si possono escludere delle ricadute in futuro».
La terapia è multidisciplinare, e prevede incontri con psicoterapeuti e nutrizionisti, per lavorare contemporaneamente sul corpo e sulla mente. «Nel 60 per cento dei casi è sufficiente un trattamento ambulatoriale, cioè colloqui una o due volte alla settimana. In alcuni casi è necessario invece che il paziente trascorra gran parte della giornata in un centro diurno semiresidenziale fino ai casi più gravi per i quali è opportuno il ricovero in strutture residenziali, tipicamente dai tre ai cinque mesi. Sempre coinvolgendo la famiglia».

I CAMPANELLI DI ALLARME
È importante allora prestare attenzione ad alcuni comportamenti che possono essere campanelli di allarme. «Che il proprio figlio o la propria figlia si metta a dieta, di per sé non deve mettere in allarme un genitore. Lo fa la stragrande maggioranza degli adolescenti (il 70 per cento) e non tutti ovviamente sono a rischio di ammalarsi di anoressia o bulimia. Devono destare invece sospetti – avvisa Dalla Ragione – l’ossessione per il peso e la bilancia, per le forme del proprio corpo e lo specchio, un’attenzione smisurata per la quantità di cibo, l’improvvisa iperattività, ma anche l’irritabilità, il mal umore. Perché i Dca non sono semplici malattie dell’alimentazione, ma patologie psichiatriche: non cambia infatti solo il modo di nutrirsi ma il carattere, il modo di vivere in generale. Insomma sono delle malattie dell’animo».
«Il cibo infatti è la punta dell’iceberg» aggiunge Falsini, ricordando la battaglia che sua figlia ha vinto contro l’anoressia. «A un rapporto ossessivo con il cibo, si accompagna un progressivo isolamento sociale: pian piano la malattia spegne gli interessi che prima riempivano le giornate, ti allontana dagli amici, ti toglie il piacere e la libertà di mangiare una pizza in compagnia».
Per cui ai primi sospetti, il consiglio è di rivolgersi al più vicino centro specializzato.
«Può essere difficile per i genitori – spiega Dalla Ragione – accettare l’idea di non farcela da soli, ma è importante affidarsi a specialisti competenti». «Per fare fronte comune contro la malattia. Purtroppo, però, centri specializzati sui disturbi del comportamento alimentare sono presenti in Itala a macchia di leopardo» conclude Falsini.

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