Tutti i rischi ammessi da chi la produce La notizia era trapelata alla fine di…
Da quanto è stato rivelato dall’agenzia di stampa Adnkronos Salute, sono state ammesse 29 morti dall’uso della pillola abortiva, anche se non in tutti i casi l’utilizzo del farmaco era finalizzato all’interruzione di gravidanza, ma anche per un «uso compassionevole».
Il che apre ancora più ampi dubbi che dovranno essere colmati dal parere che il Comitato tecnico-scientifico (Cts) dell’Aifa dovrà fornire al ministero.
Infatti la massima trasparenza nella valutazione i dati è stata invocata dal sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, per rispondere con criteri di oggettività scientifica ai dubbi clie la pillola abortiva continua a sollevare.
Dell’ azione della Ru486, «Avvenire» è stato tra i più assidui a parlare per retendere che le notizie sulle morti e sugli eventi indesiderati fossero resi noti e analizzati per una valutazione il più possibile obiettiva del farmaco. Soprattutto dopo che un editoriale del «New England lournal of Medicine» di quattro anni or sono aveva rivelato che, pur nella differenza di numeri assoluti, la mortalità in seguito all`aborto medico (o chimico) era dieci volte più alta di quella per aborto chirurgico, a dispetto della «favola» (come recita il titolo del libro dedicato alla Ru486 da Eugenia Roccella e Assuntina Morresi) che vuole far credere più facile e moderno il ricorso al farmaco per l`interruzione di gravidanza. Oltre al fatto – come ha ricordato domenica in un`intervista il sot- tosegretario Roccella – che è difficile che gli eventi avversi, e soprattutto quelli mortali, vengano alla luce: i casi hango cominciato a emergere dopo che il padre di una diciottenne californiana morta dopo unl`interruzione di gravidanza chimico ha cominciato a indagare sulle morte dopo questo tipo di aborto.
Ora giunge il dossier dell`azienda produttrice che, pur non ammettendo legami diretti tra l`assunzione della Ru486 e i decessi, comunica che non sono solo 16 (o 17 come già segnalato da «Avvenire» nei mesi scorsi) i casi di morte per l`uso del mifepristone, bensì 29 nel periodo compreso tra il 28 dicembre 1988 e il 28 febbraio 2009. Ai quali andrebbero pero,aggiunti due decessi avvenuti solo dopo l`assunzione del secondo farmaco (il misoprostolo) che però è indispensabile al completamento della procedura abortiva, ma che l`azienda produttrice non ha mai indicato per uso abortivo.
Non solo morti però, emergono tra gli effetti avversi.
Il caso più grave – pubblicato su «Obstetrics and Gynecology» – è relativo a una donna alla quale, dopo un aborto chimico con la Ru486, è andata incontro a un`infezione da Streptococco che ha reso necessario amputarle la gamba sotto il ginocchio. Del resto molti dei casi di morte sono stati attribuiti all`azione di un raro batterio (Clostridium Sordelli), che si è presentato in misura straordinariamente frequente dopo l`uso del mifepristone.
Va ricordato che, perla sua azione sugli ormoni, il mifepristone è da tempo indicato per la cura del morbo di Cushing, ed è stato anche sperimentato (come testimoniato da pubblicazioni scientifiche) nella terapia antidepressiva.
Il Cts dell`Aifa si è riunito e darà una risposta alle richieste di chiarimento pervenute dal ministero.
C`è da augurarsi che le risposte siano chiare ed esaustive su ogni singolo caso mortale, perché sempre quando si tratta dell`autorizzazione alla messa in commercio dei farmaci l`opinione pubblica è stata molto sensibile ai possibili effetti collaterali indesiderati.
E un ultimo punto da chiarire è perché dovrebbe essere autorizzato l`uso off-label (cioè senza l`indicazione dell`azienda produttrice) di un farmaco (il misoprostolo) che è però indispensabile per completare la procedura abortiva:
chi si assumera la responsabilità di un qualunque evento avverso dovesse capitare per l`impiego di questo secondo farmaco?
LA DIFESA DELLA VITA
«La legge 194 prevede che siano promosse tecniche meno rischiose per la salute delle donne, ma il tasso di mortalità dell’aborto medico è 10 volte superiore a quello chirurgico»
«Sulla Ru486 i medici dicano tutta la verità»
Tempi strettissimi per decidere l’aborto, che dura tre giorni e spesso richiede comunque l’intervento chirurgico. L’appello del ginecologo bolognese Bovicelli: «Alle donne va spiegato perché la pillola non è ‘dolce’»
DI VIVIANA DALOISO
«Bugie, leggerezze». Fino all’interpretazione «del tutto fuorviante » della legge 194, che all’articolo 15 prevederebbe l’introduzione di tecniche alternative all’aborto chirugico qualora fossero «più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e pscichica della donna e meno rischiose». Sulla Ru486 – e le ragioni dei sostenitori della sua introduzione in Italia – il professor Luciano Bovicelli, ginecologo e ordinario di Clinica ginecologica e ostetrica all’Università degli Studi di Bologna, non vuole più tacere. A cominciare dai quei ‘piccoli’ particolari inerenti le modalità e i tempi dell’aborto medico che troppo spesso vengono taciuti alle donne.
Professore, che cosa pensa della pillola abortiva?
Ne penso ogni male possibile. Come ogni male possibile penso di chi ne parla, nel nostro Paese, facendo assoluta disinformazione: cioè spacciando il farmaco per la ‘pillola dolce’, convincendo le donne che il metodo è molto più semplice e psicologicamente accettabile di quello chirurgico.
Ci spieghi perché le cose non stanno così.
Innanzitutto vorrei ricordare un particolare: entro quando la Ru486 può essere utilizzata per abortire. Il farmaco ha tempi strettissimi: per risultare efficace, deve essere assunto entro le 7settimane dall’inizio della gestazione (il 49esimo giorno di gravidanza). In primo luogo, dunque, occorre un immediato riconoscimento della gravidanza, che spesso non si verifica. Considerando, poi, che prima dell’assunzione vera e propria della pillola è necessaria un’accurata ecografia, e che accedervi non è così immediato in tutte le strutture pubbliche, possiamo immaginare quanto tempo avanzerà alla donna per riflettere sulla decisione che sta prendendo. Senza contare che proprio qui sorge il problema della compatibilità del farmaco con la legge 194: in base a quest’ultima, la donna deve avere sette giorni a disposizione per decidere se effettivamente vuole ricorrere all’interruzione di gravidanza. Nella ‘corsa’ alla Ru486 appena descritta, questo tempo avanzerebbe?
Poniamo che la questione dei tempi venga affrontata e superata con ‘successo’: la donna riesce, entro i 49 giorni, a iniziare il protocollo.
Ebbene: il medico gli consegna la prima pillola, le spiega che va assunta subito e ucciderà il suo bambino. Poi, due giorni dopo, dovrà prenderne un’altra: stimolerà le contrazioni del suo utero e favorirà l’espulsione del suo bambino, già morto. A quel punto, secondo i ‘tifosi’ del protocollo, la donna dovrebbe mandar giù, a cuor leggero. Posto che l’aborto è sempre un evento drammatico, come sostenere che farlo durare tre giorni e scaricarlo completamente addosso alla madre sia più un metodo ‘dolce’, psicologicamente più accettabile dell’intervento chirugico?
Quegli stessi ‘tifosi’ le direbbero, a questo punto, che l’aborto medico comporta meno rischi, non trattandosi di un intervento…
E io tirerei fuori le pagine di innumerevoli riviste scientifiche internazionali, che documentano come invece l’aborto da Ru486 sia ben più rischioso di quello chirurgico. Un numero su tutti, quello del tasso di mortalità: secondo quanto riportato dall’autorevole «New England Journal of medicine» nel 2005 è di dieci volte maggiore rispetto a quello chirugico.
Quale vantaggio allora?
L’unico vantaggio – e lo dico con tristezza, sono un ginecologo – è quello dei medici, che qualora la Ru486 fosse introdotta anche nel nostro Paese potrebbero lavarsi completamente le mani e ‘delegare’ alla donna l’intera responsabilità dell’aborto. Ecco perché vorrei fare un appello ai miei colleghi.
Prego.
Come medici dobbiamo rifiutare questo metodo, spiegare in che cosa realmente consiste. Qui posizioni ideologiche e convinzioni personali non c’entrano: è in ballo la salute delle donne. A loro dobbiamo questo sforzo.
© Copyright Avvenire, 2 marzo 2008
DA SAPERE
Dagli esperimenti sui topi alle donne: ecco come è nata la pillola abortiva
Prima che nel 1980 l’endocrinologo francese Étienne-Émile Baulieu la trasformasse in un abortivo, la Ru486 (fino ad allora nota come Ru38486) veniva utilizzata nei laboratori nel corso di esperimenti sui topi: si trattava di una medicina capace di arrestare il funzionamento della ghiandola surrenale. Fu allora che, per la prima volta, ci si rese conto che le femmine di topo gravide abortivano e qualcuno si chiese se non si poteva utilizzare la proprietà abortiva della molecola cambiandole il nome. Ma proprio questa funzione ha portato alla morte di diverse donne: in presenza di un’infezione uterina la situazione può divenire drammatica proprio per l’insufficienza surrenale creata dalla pillola. (V. Dal.)
Avvenire, 2 marzo 2008
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