Il Consiglio provinciale, con 24 voti favorevoli, due contrari e sei astenuti, ha approvato questa…
Siamo ancora in pieno inverno demografico in Italia, che spende sempre poco per sostenere le famiglie, e in tutta l’Europa a 27. La crisi lascia strascichi inimmaginabili anzitutto sulla generazione dei 20-30 enni, senza lavoro o precari e quindi intenzionati a rimandare sine die matrimonio e procreazione. E su quella dei loro fratelli maggiori, i quali in tutta l’Ue – Spagna e Italia in testa – hanno deciso di mettere al mondo in media un figlio in meno rispetto al progetto iniziale a causa dell’incertezza.
A Parma, piccola capitale nazionale delle politiche familiari, è iniziato ieri in questo clima il quarto evento del network europeo “città per la famiglia”. E i dati del Family database dell’Ocse, diffusi durante i lavori, rilevano la differenza tra politiche di sostegno nazionale nell’Unione e fanno venire i brividi.
Secondo lo studio, nell’Ue la spesa pubblica pro famiglia incide in media con una percentuale del 2,2 sul Pil. Ma il nostro Paese spende solo l’1,43% per le famiglie con figli ed è relegato a un mesto ventunesimo posto in una classifica a 27.
Prima è la Danimarca, che spende addirittura il 3,67% della ricchezza nazionale. Invece siamo al di sopra della media dei trasferimenti monetari ai salari dei genitori italiani di figli tra i tre e 12 anni. La media continentale è del 4%, in Italia trasferiamo il 5. Ultimo aspetto preoccupante, se in Europa il tasso medio di occupazione delle madri con figli fino a 15 anni è poco sopra il 60%, in Italia scende al 50, terzultimo posto. Piena zona retrocessione, tenuto conto che il nostro tasso di occupazione materna è inferiore di 11 punti rispetto a quella femminile. Colpa anche di imprese che vogliono carriere in linea retta ascendente, mentre tra i 30 e i 40 servirebbero come il pane carriere che si fermano e ripartono, dolci come un’onda.
«Il legame tra declino demografico e crisi è chiaro – spiega il prorettore della Cattolica Luigi Campiglio – tanto che dal 2008 ad oggi in Italia il piccolo baby boom della prima metà del decennio si è fermato. La denatalità provoca contraccolpi sul mercato del lavoro, sulle pensioni e sul debito pubblico. Così non si esce dalla crisi».
In base all’anticipazione di una ricerca condotta dallo stesso docente sulla crisi, i consumi delle famiglie italiane si sono ridotti rispettivamente del 4,5 e del 6,5% nei nuclei con due e tre figli nel difficile biennio 2008-2009. È la classe media che tira la cinghia.
La crisi ha lasciato a casa in media un quinto della popolazione tra i 20 e i 25 anni, che a questo punto ritarderà matrimonio e nascita di un figlio. E il vecchio Belpaese è già sotto la soglia di riproduzione. Due finora le reazioni dei paesi europei, per Campiglio. «Italia e Germania hanno affrontato la crisi demografica intervenendo sul mercato del lavoro favorendo l’immigrazione per sostituire la manodopera mancante.
Ma non hanno compensato il declino perché gli immigrati integrati tendono a comportarsi come noi. Invece la Francia, pur non intenzionalmente, ha ridotto gli squilibri con politiche famigliari».
Politiche fiscali pro family, secondo il catalano Raul Sanchez, segretario della confederazione, che hanno bisogno di un periodo di 10-15 anni per affermarsi e fanno a pugni con le esigenze di spot della politica contemporanea. Lungimiranti, allora, i francesi varando il quoziente familiare. Per Sanchez dovrebbe copiarli tutta Europa, soprattutto Italia e Spagna, le cui mamme sono quelle che più di tutte rinunciano a quello che desideravano. Cioè fanno un figlio in meno. «Se non si cambia ci avviamo a un’Europa di figli unici.
Dove negli Stati, come i nostri, che spendono di meno per aiutare le famiglie povere, ci sono più bambini indigenti e mettere al mondo una vita dipende dal reddito». Lui, però, e qui si riacquista la speranza, è uno che a colpi di spot ha convinto il suo premier Zapatero, non proprio tenero con la famiglia tradizionale, ad abbassare le tasse alle famiglie extra large sull’acquisto di case, sulle auto e sui consumi idrici. Dalle nostre parti gli obiettivi sono sì alti, ma concreti e fattibili: considerare la famiglia una risorsa, sostenuta da politiche fiscali semplici, basate sul reddito del nucleo e, soprattutto, non legate alla discrezione di una maggioranza.
Paolo Lambruschi – Avvenire
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