Se vi è un qualcosa che non si può comperare sono i sogni; Spaziano nella nostra…
Erano le 01:23:40 del 26 aprile 1986 quando avvenne l’esplosione del reattore 4 della centrale nucleare Lenin di Cernobyl.
Quel giorno il personale si rese responsabile della violazione di svariate norme di sicurezza e di buon senso, portando a un brusco e incontrollato aumento della potenza (e quindi della temperatura) del nocciolo del reattore 4 della centrale, determinando la scissione dell’acqua di refrigerazione in idrogeno e ossigeno a così elevate pressioni da provocare la rottura delle tubazioni del sistema di raffreddamento del reattore.
Il contatto dell’idrogeno e della grafite incandescente delle barre di controllo con l’aria, a sua volta, innescò una fortissima esplosione, che provocò lo scoperchiamento del reattore che a sua volta innescò un vasto incendio.
Nei giorni successivi per contrastare e limitare la contaminazione radioattiva venne costruito in tempi record (206 giorni) un “sarcofago” per contenere per quanto possibile il fuoco radioattivo.
Quest’anno ricorre il 30esimo anniversario della catastrofe di Chernobyl: il peggior disastro con cui il genere umano si sia mai dovuto confrontare, legato all’incapacità di scienziati e ingegneri di prevedere come problemi apparentemente piccoli possano tramutarsi in disastri di scala quasi inimmaginabile.
Quasi 70 anni fa un gruppo di scienziati del Progetto Manhattan, dopo aver constatato il potere distruttivo del nucleare, progettò quello che venne chiamato il Doomsday Clock.
Un meccanismo concepito per avvisare il mondo della minaccia di un’imminente catastrofe globale. Quest’anno le lancette dell’“orologio dell’apocalisse” si sono fermate a tre minuti dalla mezzanotte dell’umanità, la stessa posizione in cui si trovavano al culmine della Guerra Fredda. Perché? A livello globale, il numero di testate nucleari ha ripreso a crescere; oltre 30 Paesi sono in possesso di armi nucleari o possono disporne rapidamente; la Corea del Nord manda pericolosi segnali; il furto da parte dell’Isis non è una cosa priva di fondamento.
A tutto questo si aggiungono i rischi e gli impatti di una futura Chernobyl o Fukushima; gli incidenti all’interno dei siti di stoccaggio o quelli legati alla lavorazione e al trasporto dei materiali nucleari; i cambiamenti climatici, che interessano tutti gli organismi viventi.
Aldo Valentini, fisico sanitario, era nella “Commissione anti rischi” «Ricordo quei giorni, frenetici. Facevo misurazioni con picchi altissimi»
TRENTO. Quando a Chernobyl ci fu l’esplosione il mondo dormiva. Era notte: ore 1, 23 minuti e 44 secondi del 26 aprile 1986. Trent’anni fa.
Il 26 aprile Aldo Valentini compie gli anni. E quindi ricorda perfettamente anche quella giornata di trent’anni fa. «Era un sabato, un sabato “normale”, che passai a casa dopo una settimana di lavoro». Aldo Valentini era da sette anni l’unico fisico sanitario dell’ospedale Santa Chiara di Trento. Poi divenne il direttore (e lo è tuttora) del Servizio di fisica sanitaria, che comprende una decina di operatori. Quando Chernobyl bruciò liberando una gigantesca quantità di sostanze radioattive, gli strumenti di misurazione e le persone qualificate per comprendere cosa stesse accadendo erano pochi. «Io sono un fisico esperto di radiazioni ma non sono un esperto di nucleare» mette in chiaro Valentini, «però mi sono reso conto, sia in quei giorni sia col senno di poi, che allora non c’era nessuno che potesse comprendere o prevedere davvero che cosa stava avvenendo. Eravamo tutti impreparati. Tutto il mondo era impreparato».
L’incendio prosegue. La nube tossica si espande. In Finlandia il giorno dopo viene registrata una concentrazione anomala di radioattività nell’aria. Il 28 aprile anche in Svezia. E infine osservando le immagini raccolte da un satellite si individua il centro del disastro nell’area della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, allora Urss, a 110 chilometri a nord di Kjev. LEGGI TUTTO
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