“COLTIVIAMO I NOSTRI SOGNI E LAVORIAMO PER LA LORO REALIZZAZIONE“ (Chiara Lubich) - Educare alla…
Difficile che si possa immaginare di onorare lo spirito olimpico meglio di come ha fatto Astrid Jacobsen: scesa in pista a vincere un oro trascinando la Norvegia sui suoi sci da fondo nonostante il cuore altrove. Ha perso un fratello ragazzo il giorno della cerimonia d’apertura e la sua lacerazione si può soltanto sforzarsi di intuire. Però ha partecipato, come di più non avrebbe potuto.
E il Comitato olimpico internazionale che fa? Invece di applaudire invia una reprimenda all’equivalente Coni della Norvegia: ce l’ha con Astrid e con le sue compagne di squadra, colpevoli di essere scese in pista con una fascetta nera. Non s’ha da fare, dicono al Cio applicando ottusamente una regola idiota: «Comprendiamo il vostro dolore – ha spiegato il portavoce Mark Adams- ma non possiamo permettere che una gara, che si svolge in un’atmosfera di festa, diventi un luogo di lutto».
La toppa è peggio del buco: un monumento all’incoerenza. «Non possiamo permettere che una gara diventi luogo di lutto». Ah no? Sarebbe interessante sapere dov’era il signore che ha partorito questa perla di saggezza quando a Vancouver 201o moriva in diretta Nodar Kumaritashvili, schiantato con il suo slittino contro un pilone della pista olimpica. Sarebbe interessante sapere se era distratto mentre il Cio inseriva nel programma olimpico gare come il freestyle, lo slopestyle e altre discipline loro parenti, in cui chi compie evoluzioni sempre più ardite gioca a scacchi con la morte a ogni salto.
Lo sospettavamo da tempo, ma ora abbiamo le prove: per i signori che governano lo sport lo spirito olimpico è soltanto un grande affare. Di più: una sesquipedale ipocrisia. E infatti il problema non è rimuovere la morte, che potrebbe pure cinicamente amplificare lo spettacolo, ma intonacare il dolore che si porta appresso. S’illudono, i signori del Cio, che gli affari andranno meglio anestetizzando tutto e sono così concentrati sul proprio potere da non capire chelo sport senza vita (con il suo carico di emozioni vere, dolore compreso) è un simulacro senza senso che prima o poi imploderà su sé stesso.
Neanche s’avvedono che se non è ancora accaduto è soltanto perché ci sono atleti come Astrid che partecipano con l’anima.
Ps. La prevedibile obiezione delle ragioni di sicurezza e del rischio che anche il lutto venga strumentalizzato si smonta facilmente: basta il buonsenso per rendersi conto che non era questo il caso.
Elisa Chiari
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