«Eluana, le sentenze non reggono più»

Da il 21 gennaio 2009

48772df6703ce normal «Eluana, le sentenze non reggono più»Tra pochi giorni saranno passati sei mesi dal decreto della Corte d’Appello di Milano che autorizzava la morte per fame e per sete di Eluana. Sei mesi guadagnati alla vita, ma anche sei mesi che hanno mostrato tutti i limiti dell’applicabilità di un dispositivo giudiziario e le contraddizioni della sentenza della Cassazione del novembre 2007 che lo aveva reso possibile. Cominciamo da quest’ultima. Essa si fonda su tre cardini.
Primo, il principio di autodeterminazione esclude che una persona possa essere sottoposta a trattamenti sanitari contro la sua volontà, anche quando (come nel caso di Eluana) essi sono proporzionati e non costituiscono accanimento terapeutico.
Secondo, la volontà del paziente di interrompere il trattamento deve essere documentata. Terzo, la condizione clinica di stato vegetativo deve essere irreversibile. All’irreversibilità dello stato vegetativo (in termini assoluti e non solo probabilistici) il mondo scientifico e la medicina non credono per nulla e nessuno si azzarda più a riproporla come argomento del dibattito. La documentazione della volontà della paziente di rifiutare le cure è stata quanto meno ap-prossimativa e si fonda solo sulla ricostruzione induttiva della sua personalità, basata su una dichiarazione emotiva di fronte a un evento drammatico, riportata da terzi, senza essere passata attraverso la maturazione di quella piena consapevolezza che necessaria a esprimere il consenso davvero informato che si richiede in medicina. Chi scrive inoltre è consapevole del fatto che esistono altre testimonianze, contraddittore con la ricostruzione di personalità proposta dal padre e da alcune amiche, di cui il magistrato non ha tenuto alcun conto. Infine, la sentenza della Cassazione parla solo di alimentazione artificiale, visto che sarebbe difficile spacciare per trattamento medico la nutrizione con il cucchiaio anche a quanti hanno ideologicamente trasformato in artificiale l’ alimentazione assistita (giudicata, ancora nel 1973, una forma di assistenza di base dal laico British Medical Research Council). La rivelazione dei giorni scorsi, secondo cui Eluana deglutisce, mina alla base la sentenza della Cassazione.
La notizia, minimizzata da chi ritiene che Eluana debba comunque essere lasciata morire di fame e di sete, era stata paradossalmente ignorata nel verboso decreto del giudice La Manna, benché esso si fosse preoccupato per 62 pagine di analizzare anche i minimi dettagli e i risvolti più macabri. Invece, la presenza del riflesso della deglutizione, sia pur mantenuto parzialmente, imporrebbe, con le dovute cautele per evitare polmoniti da ingestione, di ‘perdere’ tutto il tempo necessario per nutrire la paziente per bocca. Imporrebbe cioè di fare con il cucchiaio, quello che oggi, solo per ragioni di economia e di sicurezza, viene demandato al sondino. Il non farlo equivarrebbe ad ammettere che la decisione non si fonda sul rifiuto di trattamenti ‘artificiali’, ma su una precostituita volontà di lasciar morire una disabile grave (che non si decide a farlo da sola), poiché la sua vita non è ritenta di qualità sufficiente per farla continuare. Fin qui per i limiti della sentenza di Cassazione. Per quanto riguarda invece il decreto della Corte d’Appello di Milano, occorre almeno rilevarne la pochezza dell’orizzonte culturale, che trascura tutte le acquisizioni scientifiche degli ul-timi dieci anni, e la debolezza della valutazione clinica che non risulta essersi avvalsa delle in-
dagini più innovative per verificare nella paziente la mancanza di ogni consapevolezza di sé e dell’ambiente. Pur in presenza di tali limiti, il giudice La Manna conclude, sbrigativamente, per la avvenuta verifica della condizione di irreversibilità prevista dalla Cassazione. Infine, le macabre disposizioni del decreto impongono che, mentre si sospendono l’idratazione e la nutrizione, venga evitata la sofferenza con «somministrazione di sostanze idonee ad eliminare l’eventuale disagio da carenza di liquidi ». Come rilevato nell’appello dei medicipereleuna@ gmail.com «in medicina è regola assoluta che la presenza di qualunque ‘disagio’ e sofferenza venga corretta anzitutto rimuovendo le cause che la determinano e non nascondendone artificialmente le conseguenze, mentre si lasciano perdurare gli effetti dannosi della causa non rimossa». Per non contravvenire alle regole di Buona Pratica Clinica, sancite dalla dichiarazione di Helsinki, il medico dovrebbe intervenire sommini-strando liquidi ed elementi nutritivi e non nascondendo la sofferenza stessa con sedativi e antidolorifici. È evidente che in tal modo il decreto non potrebbe essere applicato, ma è altrettanto evidente che se ci si ostinasse a farlo applicare, il giudice si assumerebbe la responsabilità di indurre i medici a comportamenti deontologicamente scorretti. In questa vicenda di morte, la Magistratura ha alimentato il sospetto di essersi sostituita all’azione del legislatore per una presunzione ideologica. Per evitare di lasciare ombre sulla certezza del Diritto è necessario talvolta il coraggio di rivedere anche le sentenze. Si tratta di ammettere che l’irreversibilità dello stato vegetativo non può essere dimostrata e che la paziente deve essere sottoposta a nuovi esami clinici, fondati sulle più recenti acquisizioni scientifiche. Inoltre, le sue manifestazioni di volontà devono essere appurate con una ricerca più accurata. Occorre anche ammettere che, staccato il sondino, Eluana dovrebbe essere alimentata per bocca e superare le contraddizioni tra le macabre disposizioni del decreto applicativo e la deontologia medica.
Non sarebbe male, infine, che il curatore speciale fosse realmente indipendente dalle scelte del tutore e non fosse invece un avvocato di sua fiducia. Garanzia ancor maggiore si avrebbe, poi, se le sue scelte fossero alternative a quelle del tutore. In un Paese civile, nessuno può essere lasciato morire di fame e di sete. Nel Paese di ‘Nessuno tocchi Caino’, dove giustamente molti lottano per le garanzie di assassini e stupratori, è urgente una posizione di garanzia anche per un innocente agnello sacrificale che si vorrebbe immolare sull’altare dell’ideologia. L’Italia non ha bisogno di una nuova Porta Pia sulla pelle di Eluana, come auspicato da Maurizio Mori nel suo libro. A nome dei medicipereluana@gmail.com invoco: ‘Nessuno tocchi Abele

Di Gian Luigi Gigli
*Neurologo Docente di Neurologia alla università di Udine
Avvenire

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