Milano - Un teatro, un uomo al pianoforte. È Andrea Bocelli. In platea non c’è nessuno.…
Sulle parole della canzone “Guerriero” di Marco Mengoni, Paola Cortellesi inizia il monologo sul bullismo: “mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia”. La Cortellesi racconta la storia di questo studente vittima di bullismo durante tutto il suo percorso scolastico, fatto di insulti, offese e violenza fisica.
Non riuscivo a dirlo, a mio padre e a mia madre, che la sensibilità accuratamente trasmessa non era ben vista nella mia scuola. I miei compagni, più crudi ed insensibili di me, vedevano questa virtù dell’anima come una cosa da sfigato, da debole, da debellare.
Il mio non saper reagire, il mio accettare tutto con un sorriso sperando che domani tutto sia finito, era diventato il cestino dei rifiuti degli sfoghi dei miei compagni. Riversavano tutto su di me e sulla mia sensibilità. Gli serviva per sentirsi vivi, per sentirsi grandi, per sentirsi adulti. Li capivo, anche io avrei voluto essere così.
Quindi me ne stavo zitto a subìre.
Dire ai miei genitori che ero vittima di queste cose li avrebbero spaventati e, tornando a casa, non avrei mai voluto essere visto con gli occhi della compassione, quindi nascondevo tutto. Avevo tutte sulle mie spalle. Sapevo di essere una brava persona prima e un bravo studente dopo, ma la crepa incominciava ad essere fastidiosa, perché non parlavo più a casa, mi ero abituato ai vari aggettivi o ai vari gesti idioti in cui la mia reazione sarebbe stata solo un pretesto per continuare ad umiliarmi.
Me ne stavo zitto, avevo perso la fiducia nei coetanei ed incominciavo a considerare sbagliati anche i miei genitori, che mi avevano trasmesso un’educazione inadatta al tempo in cui vivevo.
Quante lacrime versate e quante delusioni.
Quelle rare ragazze che venivamo da me, mi facevano credere di essere interessante ma solo con l’intento di farmi aprire un po’ di più per poi, bum, umiliarmi e sminuire davanti a tutti.
Che stupido, avevo dato la colpa ai miei genitori per essere così. A distanza di anni non so come ringraziarli per avermi dato l’opportunità di vivere la vita in questo modo.
Guardo quei vecchi compagni bulli, spenti, demotivati, al bar davanti ad una soddisfacente ennesima birra, con l’inconsapevolezza di essere stati grandi e forti, quando grandi e forti non bisognava esserlo.
Vorrei abbracciarli, nemmeno la mia sensibilità è riuscita a salvarli”
Spunto di riflessione tratto da un commento al video:
“Sono delusa perché fino ad un certo punto era tutto crudele e avvilente come lo è il bullismo, come l’ho sperimentato io, e poi è arrivata la parte sull’abbraccio che mi ha fatto cascare le braccia. Con gli abbracci non si risolve niente, il problema si risolve cercando aiuto e con adulti che non prendano il problema sotto gamba! E nessun bambino vittima di bullismo pensa ad abbracciare i suoi aggressori. Insomma per la maggior parte è un bel monologo, ma finisce male. Ci chiediamo che tipo di messaggio voglia far passare, perché abbracciare chi ti ferisce è martirio, non un modo per combattere.”
Riflettere sul bullismo è già combattere il bullismo. Buona riflessione a tutti!
Questo articolo è già stato letto 35598 volte!