“Stato vegetativo”: Il medico 4 volte su 10 si sbaglia

Da il 1 ottobre 2009

ansa 5968195 47070 “Stato vegetativo”: Il medico 4 volte su 10 si sbagliaSi parla sempre (e spesso a sproposito) delle persone in stato vegetativo. Nei giornali e in televisione si scrivono e si sentono delle autentiche castronerie: stato vegetativo viene usato come sinonimo di coma, a stato vegetativo si accosta molto volentieri il termine ‘permanente’ che invece non può esistere per la scienza e non perchè lo dico io, ma perchè non lo sanno neppure i luminari. Poi la terza carica dello Stato (Gianfranco Fini, presidente della Camera) è arrivato a dire che una persona in stato vegetativo ha l’elettroencefalogramma piatto e allora verrebbe voglia di arrendersi.

In pochissimi hanno parlato di un fatto invece davvero eccezionale che andrebbe studiato con grande attenzione e dovrebbe farci muovere in maniera ancora più cauto quando trattiamo certi temi. Ecco il fatto: il 40% delle diagnosi, quando si parla appunto di stati vegetativi, è sbagliato.

Cioè: in 4 casi su dieci un medico ha detto che la persona x era in stato vegetativo, mentre invece quella persona capiva e sentiva, solo che non era in grado di esprimersi.

Lo studio, rivoluzionario, arriva dal Belgio ed è stato pubblicato sulla rivista scientifica BMC Neurology lo scorso luglio. Gli addetti ai lavori ne erano a conoscenza già da tempo. Spesso si confonde lo stato vegetativo on lo stato di minima coscienza. Lo studio ha mostrato che il 40% dei pazienti ritenuti in stato vegetativo erano in realtà in stato di minima coscienza e che il 10% dei pazienti ritenuti in stato di minima coscienza erano in realtà emersi da quella condizione ed erano ormai capaci di comunicare, anche se i loro medici non se n’erano accorti.

A tali dati allarmanti _ ha scritto il settimanale E vita _ ci permettiamo solo di aggiungere che probabilmente il tasso diagnostico di errore sarebbe stato assai più elevato se si fossero usate anche le indagini di risonanza magnetica funzionale, di PET e di neurofisiologia che hanno mostrato la possibilità di persistere una comunicazione residua anche in pazienti in cui essa non è clinicamente evidenziabile. Anzichè scegliere la scorciatoia dello ‘staccare la spina’ (altra parolaccia sballata in voga quando si trattano questi temi) ci rendiamo conto quanto ci sarebbe ancora da esplorare e da studiare? E non sulla pelle degli uomini, ma a favore degli uomini.

(Massimo Pandolfi) www.fattisentire.net

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